Noi romani facciamo concordare le desinenze degli aggettivi con quella dei nomi a cui si riferiscono, senza tener conto del genere:
Andrea mia, omo carógno e così via.
Gli aggettivi femminili in >e< terminano ugualmente anche al plurale:
le guàrdie nòbbile, le mòje fedèle.
Mejo e peggio sono usati anche come aggettivi:
er mèjo vino, la pèggia ròbba.
Nei comparativi di maggioranza con il più, il nome si colloca tra questo e l'aggettivo:
er più fijo piccinino, er più libbro bello, er più omo carógno.
Gli aggettivi dimostrativi sono: 'sto, 'sta, 'sti, 'ste.
Quello diventa quèlo o quer; mentre quella si dice quèla oppure que la.
I romani usano due articoli determinativi per il maschile singolare:
er e
l' (questo si usa con i nomi che iniziano per vocale:
l'acciaccapisto = trambusto, confusione, pigia-pigia).
Al femminile l'articolo è unico:
la e al plurale
le:
la fija, le fjie . Naturalmente davanti a vocale ci sarà l'elisione:
l'assógna = sugna.
Ci complichiamo la vita con gli
articoli indeterminativi: due per il maschile
un e
'n:
un fijo,
'n intrujóne; ma addirittura quattro al femminile:
una,
un',
'na e
'n':
una fija, un'avemmarìa, 'na donna, 'n'orécchia.
Certe volte, anche se raramente, il romano concretizza l'articolo con il nome:
l'atrio = làdrio,
l'aumento = lauménto,
l'amo = lamo,
l'innesto = linnèsto,
l'elettricità = lelettrichità.
In molti casi la sillaba iniziale sparisce per apocope: l'agricoltura = la gricortura, l'esequie = le sèquie.
tratto dal citato "Vocabolario" romanesco belliano di Gennaro Vaccaro, Romana Libri Alfabeto - Roma, 1969